La realizzazione di una pergotenda non richiede il rilascio del permesso di costruire

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Giancarlo Favero
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La realizzazione di una pergotenda non richiede il rilascio del permesso di costruire

Messaggio da Giancarlo Favero »

Consiglio Giustizia Amministrativa Regione Sicilia Sezioni riunite in sede giurisdizionale 9/12/2022 n. 573
La realizzazione di una pergotenda non richiede il rilascio del permesso di costruire



Edilizia e urbanistica – Permesso di costruire - Pergotenda - Nuova costruzione – Esclusione - Presupposti

La pergotenda non è un’opera edilizia qualificabile alla stregua della nuova costruzione e, come tale, non è assentibile mediante permesso di costruire.

Questo in ragione delle seguenti caratteristiche:

- deve essere una struttura destinata a rendere più vivibili gli spazi esterni delle unità abitative (terrazzi o giardini), installabile al fine di soddisfare esigenze non precarie; essa, dunque, non si connota per la temporaneità della sua utilizzazione, piuttosto per costituire un elemento di migliore fruizione dello spazio esterno, stabile e duraturo;

- la res principale deve essere costituita, da una tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata ad una migliore fruizione dello spazio esterno dell'unità abitativa, con la conseguenza che la struttura di supporto deve qualificarsi in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all'estensione della tenda, mediante elementi leggeri di sezione esigua, eventualmente imbullonati al suolo e facilmente disancorabili;

- deve essere realizzata in un materiale retrattile, con la conseguenza che la copertura e la chiusura perimetrale che essa realizza non presentano elementi di fissità, stabilità e permanenza.

*****

Premesso e considerato

1. Con ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana, notificato a mezzo posta il 21 dicembre 2020 al Comune di Piazza Armerina, il signor OMISSIS, nella qualità di legale rappresentante della OMISSIS, ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza n. 17 del 7 ottobre 2020, con la quale il Dirigente del IV Settore Urbanistica del Comune gli ha ordinato la demolizione della struttura abusiva di proprietà del ricorrente ed il ripristino dello stato dei luoghi.

Il ricorrente premette in fatto che la società OMISSISdi cui è il legale rappresentante, conduce in locazione il locale sito in Piazza Armerina, via Carducci, di proprietà del signor OMISSIS, e adibito ad attività di discoteca e ristorante. Su tale immobile ed in particolare nella corte del fabbricato, la società locataria ha realizzato una copertura mediante una pergotenda delle dimensioni di 17 metri per 10,40 metri realizzata per sfruttare meglio le potenzialità del locale.

Il ricorrente specifica che, nonostante la realizzazione di tale attività edilizia non fosse soggetta ad alcuna autorizzazione in virtù dell’art. 3, comma 1, lett. r), della l.r. n. 16/2016 e costituisca un’attività c.d. “libera”, la società in data 31 ottobre 2016, in via meramente cautelativa, comunicava al Comune la volontà di realizzare la struttura, allegando, a corredo della richiesta, una relazione tecnica e le necessarie tavole progettuali.

Nulla accadeva, fino a quando con verbale del 22 luglio 2020, i vigili urbani del Comune di Piazza Armerina effettuavano un sopralluogo ravvisando che la struttura non aveva le caratteristiche di una “pergotenda”, per cui seguiva, in data 7 ottobre 2020, il provvedimento impugnato.

2. Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:

I.) violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 37 del d.P.R. n. 380/2001- Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l.r. n. 16/2016 - Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del d.P.R. n. 31/2017- Eccesso di potere per carenza dei presupposti e travisamento dei fatti.

Il ricorrente sostiene che l’Amministrazione per sanzionare la struttura realizzata non avrebbe mai potuto applicare l’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, in quanto, l’opera realizzata ha tutte le caratteristiche di una pergotenda, ai sensi dell’art. 3 della l.r. n. 16/2016, e non richiederebbe, quindi, alcun preventivo titolo abilitativo.

II.) Violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 sotto altro profilo - Eccesso di potere per illogicità manifesta - Difetto di motivazione.

Il signor Conti ritiene che il provvedimento impugnato sia illegittimo per difetto di motivazione, in quanto il Comune, dopo ben quattro anni dalla realizzazione del manufatto, ha ingiunto l’ordinanza di demolizione e ripristino, senza indicare i motivi di interesse pubblico che hanno portato all’emanazione del provvedimento repressivo.

III.) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990 e dell’art. 3 l.r. n. 10/1991 e s.m.i. - Difetto di istruttoria e di motivazione.

Il ricorrente lamenta, altresì, che, trattandosi di abuso di modesta entità, l’Amministrazione avrebbe dovuto congruamente motivare l’ordinanza demolitoria con precisa indicazione delle opere interessate, nonché delle ragioni dell’abuso, specificando se si tratti di totale o parziale difformità del titolo edificatorio, con indicazione delle prescrizioni concretamente violate, essendo tale onere correlato all’esigenza di consentire agli interessati un’adeguata tutela giurisdizionale.

3. Il Comune di Piazza Armerina, con nota inviata a mezzo pec il 19 febbraio 2021, ha trasmesso la memoria difensiva in cui rappresenta l’infondatezza del ricorso e con ulteriore nota prot. n. 8379 del 26 febbraio 2021, ha mandato la documentazione utile per la trattazione del gravame.

La difesa dell’Ente ritiene che la struttura realizzata non sia una pergotenda, in quanto la stessa non ha le caratteristiche strutturali e funzionali individuate nel tempo dalla giurisprudenza caratterizzanti una tale tipo di struttura; infatti, per i tecnici del comune non si tratta di un’opera precaria, essendo la struttura, almeno in parte, non agevolmente amovibile se non attraverso uno specifico, e non banale, intervento di rimozione, non consistente in un mero smontaggio.

Inoltre, la destinazione (sala ristorante) del manufatto è durevole in quanto le struttura attiene a un locale in tutto autonomo rispetto al “Frutto Proibito” (altro locale del ricorrente impiegato come discoteca) e risulta costituita da grossi pilastri di sostegno in acciaio infissi a terra, con relativa copertura in acciaio, dotato di impianto autonomo di riscaldamento e di illuminazione; tale consistenza funzionale e strutturale del bene costituisce, peraltro, un’inammissibile modifica di fatto della destinazione d’uso del terreno sul quale detta struttura insiste, terreno accatastato quale corte esterna, cioè come giardino.

4. L’Ufficio legislativo e legale, con nota prot. n. 7288 del 22 marzo 2021, ha comunicato al ricorrente di avere acquisito la documentazione utile per la decisione del ricorso, informandolo, altresì, della possibilità di esercitare il diritto di accesso agli atti per la produzione di eventuali memorie di replica, di quest’ultima facoltà il ricorrente non si è avvalso.

5. Preliminarmente va dichiarata la procedibilità del ricorso non risultando violato il principio di alternatività.

L’Ufficio Legislativo e Legale, dopo aver evidenziato che il signor OMISSIS, padre del ricorrente OMISSIS, con il ricorso giurisdizionale n.272/2020 R.G., assistito dallo stesso legale, ha impugnato, la medesima ordinanza n. 17/2020, gravata col ricorso straordinario che ci occupa, adducendo motivi di doglianza pressoché identici a quelli in questa sede proposti, presume la violazione del principio di alternatività, trattandosi di cause effettivamente identiche (stessi petita e causae petendi), proposte da due soggetti che, sebbene distinti, sono legati da vincolo di parentela e di affari.

Tale argomentare non è, tuttavia, condivisibile.

Invero, il principio di alternatività tra il ricorso straordinario al Presidente della Regione e quello giurisdizionale, per il suo carattere limitativo dell’esercizio del diritto di azione, non è suscettibile di applicazione estensiva, operando nei soli casi, espressamente previsti dalla normativa di cui agli artt. 8, secondo comma, del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1099. Detto comma stabilisce che «(q)uando l’atto sia stato impugnato con ricorso giurisdizionale, non è ammesso il ricorso straordinario da parte dello stesso interessato». La disposizione prevede chiaramente che il divieto del principio di alternatività riguarda lo «stesso interessato», per cui detto divieto non può operare quando - come nel caso di specie - due soggetti diversi optino ciascuno per un rimedio diverso, proponendo separatamente e parallelamente entrambi i ricorsi, quello amministrativo e quello giurisdizionale. Se è vero, infatti, che sussiste l’esigenza di evitare una discordanza di pronunciamenti sul medesimo atto impugnato con due rimedi diversi, è altresì vero che l’esercizio del diritto di azione di un soggetto non può essere condizionato dalla preventiva scelta di un altro interessato che opti per una via non giurisdizionale, senza che ne abbia a patire il diritto inviolabile alla difesa e alla relativa tutela giurisdizionale, di cui agli artt. 24 e 113 Cost.

Ne deriva che, se un provvedimento interessi e coinvolga più soggetti, ogni cointeressato non può essere vincolato alla scelta fatta in precedenza dagli altri cointeressati, ben potendo ciascuno liberamente esperire il rimedio (giustiziale o giurisdizionale) che ritenga più opportuno per la tutela delle proprie posizioni giuridiche soggettive.

6. Nel merito, il ricorso è infondato.

La questione oggetto di lite consiste nell’inquadramento del manufatto in questione, definito dal ricorrente “pergotenda”, tra le opere che richiedono il previo rilascio del permesso di costruire - secondo la tesi del Comune - piuttosto che tra quelle rientranti nella categoria dell’attività di edilizia libera.

Secondo la condivisibile giurisprudenza «(i)n materia edilizia, gli estremi per la sussumibilità di un manufatto nella categoria della pergotenda, caratterizzata dal regime di c.d. edilizia libera, si individuano nel fatto che l’opera principale sia costituita non dalla struttura in sé, ma dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole o dagli agenti atmosferici, con la conseguenza che la struttura deve qualificarsi in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda» (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 9 febbraio 2021, n. 1207 e Sez. VI, 5 ottobre 2018, n. 5737).

6.1. In particolare la giurisprudenza, consolidatasi sul punto, ha ritenuto che la “pergotenda”:

1) dal punto di vista fattuale, sia una struttura destinata a rendere meglio vivibili gli spazi esterni delle unità abitative (terrazzi o giardini), installabile al fine, quindi, di soddisfare esigenze non precarie; essa, dunque, non si connota per la temporaneità della sua utilizzazione, piuttosto per costituire un elemento di migliore fruizione dello spazio esterno, stabile e duraturo;

2) sotto il profilo giuridico, l’installazione di una pergotenda - tenuto conto della sua consistenza, delle caratteristiche costruttive e della suindicata funzione caratterizzante - non è un’opera edilizia soggetta al previo rilascio del titolo abilitativo atteso che, ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 e 10 del d.P.R. n. 380/2001, sono soggetti al rilascio del permesso di costruire gli «interventi di nuova costruzione», che determinano una «trasformazione edilizia e urbanistica del territorio»; ne consegue che una struttura leggera destinata ad ospitare tende retrattili in materiale plastico, secondo la configurazione standard propria delle pergotende, non integra tali caratteristiche;

3) per poter configurare una struttura come “pergotenda”, occorre che la res principale sia costituita, da una tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata ad una migliore fruizione dello spazio esterno dell’unità abitativa, con la conseguenza che la struttura di supporto - per aversi realmente una pergotenda e non una costruzione edilizia necessitante di titolo abilitativo - deve qualificarsi in termini di mero elemento accessorio, necessario, per l’appunto, al sostegno e all’estensione della tenda; in altri termini, il sostegno della tenda deve consistere in elementi leggeri di sezione esigua, eventualmente imbullonati al suolo (purché facilmente disancorabili);

4) la tenda poi, per essere considerato elemento di una “pergotenda” (e non considerarsi una “nuova costruzione”), deve essere realizzata in un materiale retrattile, onde non presentare caratteristiche tali da costituire un organismo edilizio rilevante, comportante trasformazione del territorio. Infatti, la copertura e la chiusura perimetrale che essa realizza non presentano elementi di fissità, stabilità e permanenza, proprio per il carattere retrattile della tenda, «(o)nde, in ragione della inesistenza di uno spazio chiuso stabilmente configurato, non può parlarsi di organismo edilizio connotantesi per la creazione di nuovo volume o superficie»;

5) inoltre, l’elemento di copertura e di chiusura deve essere costituito da una tenda di un materiale, privo di quelle caratteristiche di consistenza e di rilevanza che possano connotarlo in termini di componenti edilizie di copertura o di tamponatura di una costruzione (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 1 luglio 2019, n. 4472; Consiglio di Stato, sez. II, 28 gennaio 2021, n. 840; T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, sez. II quater, 22 dicembre 2017, n. 12632).

In pratica «(l)a pergotenda consiste tipicamente in una struttura leggera, diretta precipuamente a soddisfare esigenze che, seppure non precarie, risultano funzionali (solo) a una migliore vivibilità degli spazi esterni di un’unità già esistente, tipo terrazzi e/o giardini, poiché essenzialmente finalizzate ad attuare una protezione dal sole e dagli agenti atmosferici» (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 25 gennaio 2017 n. 306; T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, sez. II bis, 3 febbraio 2020, n. 1439).

6.2. Passando ad analizzare la fattispecie oggetto di gravame alla luce della sopra richiamata giurisprudenza, deve ritenersi che dalla documentazione prodotta dal Comune, ivi compresa quella fotografica, emerge che è stata snaturata la funzione della pergotenda; invero, la struttura realizzata non presenta le riferite caratteristiche individuate in giurisprudenza come parametro per la riconducibilità di un’opera al novero degli interventi di edilizia tout court libera (ossia senza oneri di previa comunicazione dell’installazione all’autorità comunale).

Il manufatto realizzato dal ricorrente, infatti, non è utilizzato per le finalità proprie della pergotenda, e cioè come elemento di protezione dal sole, dagli agenti atmosferici, funzionale a una migliore fruizione dello spazio esterno di un immobile, ma amplia di fatto la superficie dell’attività commerciale, non risulta di agevole rimozione (è dotato di impianto di illuminazione e riscaldamento autonomo), è completamente arredato, è confinate, sul lato est, con una parete chiusa da pannelli multistrato e con un’apertura a vetri che immette nell’area esterna.

Inoltre, la struttura della tenda non può essere qualificata in termini di mero elemento accessorio essendo realizzata con pilastri in acciaio e copertura in acciaio; anzi, è una struttura importante e solida al punto tale che per la stessa è stato redatto, dall’Arch. OMISSISnell’interesse del ricorrente, un certificato di idoneità sismica, nel quale, dopo un’attenta ricognizione effettuata il 4 dicembre 2020, si è scritto che la struttura che sorregge il telone è costituita da «quattro travature reticolai in acciaio … nello specifico due di tali travature sono costituite da capriate e due da tralici rettangolari; tutte presentano struttura a triangolo realizzata con profilati tubolari a sezione cava in acciaio. La struttura è sorretta da sei pilastri in acciaio ricoperti di elementi decorativi» ed ancora «la struttura è ancorata a mezzo di piastre in acciaio alla fondazione costituita dal massetto in calcestruzzo armato a mo’ di piastra».

È indubbio che la struttura principale realizzata dal ricorrente abbia una sua solida autonomia e che non possa qualificarsi come elemento accessorio della tenda.

6.3. Per completezza va osservato che la struttura in discorso nemmeno può essere annoverata tra le opere “precarie” che consentono di chiudere terrazze e verande, disciplinate in Sicilia dall’art. 20 della l.r. n. 4/2003, secondo cui «(i)n deroga ad ogni altra disposizione di legge, non sono soggette a concessioni e/o autorizzazioni né sono considerate aumento di superficie utile o di volume né modifica della sagoma della costruzione la chiusura di terrazze di collegamento oppure di terrazze non superiori a metri quadrati 50 e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie, ferma restando l’acquisizione preventiva del nulla osta da parte della Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali nel caso di immobili soggetti a vincolo». Diversamente da quanto previsto dalla riferita disposizione, la struttura realizzata dal ricorrente ha una superficie superiore ai 50 metri quadrati e non è precaria (nel senso indicato dai pareri n. 771 del 3 settembre 2015, n.105 dell’1 aprile 2020 e n.256 del 25 maggio 2022, espressi da queste Sezioni riunite), essendo fissata (e non semplicemente ancorata al suolo) con opere cementizie non rimovibili se non mediante azioni demolitorie (e, quindi, non è “smontabile”).



7. Infine, anche la lamentata mancanza di motivazione di cui ai motivi secondo e terzo del ricorso è infondata.



Sostiene il ricorrente che per il lungo lasso di tempo trascorso (quattro anni) dalla commissione dell’abuso si sarebbe ingenerata una posizione di legittimo affidamento nel privato, per tale ragione, sarebbe stata necessaria una “congrua motivazione” a sostegno del provvedimento di demolizione e, ancora, che l’amministrazione avrebbe dovuto esplicitare i concreti motivi per cui è stata adottata l’ordinanza di demolizione.

Tali assunti sono infondati: è indubbio come in capo al ricorrente non possa ravvisarsi alcun legittimo affidamento, giuridicamente tutelabile, idoneo ad inficiare la legittimità del provvedimento impugnato, in quanto non occorre motivare in modo particolare un provvedimento con il quale sia ordinata la demolizione di un immobile abusivo, neppure quando sia trascorso un notevole lasso di tempo dalla sua realizzazione.

Infatti, l’ordinamento tutela l’affidamento di chi versa in una situazione antigiuridica soltanto laddove esso presenti un carattere incolpevole, mentre la realizzazione di un’opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del costruttore realizzata contra legem (Cons. di Stato, ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 9).

Inoltre, è ormai definitivamente accertato che in materia di repressione degli abusi edilizi vengono in rilievo atti vincolati che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale in ordine all’intervento repressivo, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile del privato alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (sul punto, cfr., fra le tante, T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, sez. IV, n. 3110/2020; Consiglio di Stato, sez. II, n. 3485/2020, n. 1765/2020, n. 549/2020; Consiglio di Stato, sez. VI, n. 7793/2019 e n. 3685/2019; nonché Consiglio di Stato, ad. plen., 17 settembre 2017, n. 9).

8. In conclusione, il ricorso, ancorché procedibile, deve essere respinto.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, a sezioni riunite, esprime il parere che il ricorso debba essere respinto.

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