Il licenziamento per le false timbrature: le indicazioni della Cassazione

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Giancarlo Favero
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Il licenziamento per le false timbrature: le indicazioni della Cassazione

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Si può dare corso al licenziamento di un dipendente che non ha timbrato le uscite effettuate nel corso del periodo compreso tra l’ingresso in servizio e la fine della giornata lavorativa. Occorre dare corso ad una autonoma valutazione dei dati effettivi prima di procedere al licenziamento di un dipendente per la mancata timbratura. Il lavoratore che ha timbrato per conto di un collega può essere licenziato anche se è stato prosciolto per lo stesso fatto in sede penale. Possono essere così riassunte le principali indicazioni dettate dalla più recente giurisprudenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione in materia di licenziamento per illegittimità nella timbratura.
Si deve evidenziare che la giurisprudenza del lavoro, anche della Cassazione, ha più volte stabilito che non vi è alcun automatismo né tra le sentenze dei giudici del lavoro e gli esiti dei procedimenti disciplinari. Ha inoltre evidenziato in modo assai chiaro che tale automatismo non si determina neppure con riferimento al dettato normativo che impone il licenziamento, visto che spetta al giudice del lavoro valutare la possibilità della irrogazione di questa sanzione, cd espulsiva, e che quindi richiede la presenza di fatti che devono essere qualificati come assai gravi.
Ricordiamo che la disciplina legislativa è contenuta essenzialmente nell’articolo 55-quater del d.lgs. n. 165/2001 che nel testo in vigore, al comma 1, stabilisce che “si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi: a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia”. Ed al comma 3 bis detta delle regole procedurali specifiche per le infrazioni in esame se “la falsa attestazione della presenza in servizio è accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze”. In tal caso si deve dare corso alla immediata sospensione del dipendente ed il relativo procedimento disciplinare deve essere concluso entro i 30 giorni successivi”. Ed ancora, il legislatore ha stabilito che occorre dare corso alla denuncia al pubblico ministero ed alla procura regionale della Corte dei conti. Ed infine, viene previsto che la sanzione del licenziamento possa essere irrogata anche a carico dei dirigenti che non hanno attivato il procedimento disciplinare.

La mancata timbratura delle uscite
Deve essere considerato legittimo il licenziamento di un dipendente che non ha timbrato le uscite nel periodo compreso tra l’ingresso in servizio ed il termine dello stesso. Lo ha chiarito la sentenza della Sez. Lavoro della Corte di Cassazione n. 569/2023.
Leggiamo che “in tema di licenziamento disciplinare, rientra tra le ipotesi di assenza ingiustificata, non solo il caso dell'alterazione del sistema di rilevamento delle presenze, ma anche l'allontanamento del lavoratore nel periodo intermedio tra le timbrature di entrata ed uscita, trattandosi di un comportamento fraudolento diretto a fare emergere falsamente la presenza in ufficio (per fattispecie similari, anche se non identiche”.
Ed ancora, “il presupposto del licenziamento disciplinare è, in casi simili a quelli oggetto del contendere, l'oggettiva mancanza dell'attestazione di uscita e di rientro del dipendente, la quale sarebbe volta a nascondere, in maniera fraudolenta, l'allontanamento indebito del lavoratore nel periodo intermedio tra le timbrature di entrata ed uscita. Proprio tale mancanza, una volta verificata, comporta che l'onere di provare la presenza in ufficio o la legittimità dell'allontanamento sia posto a carico del lavoratore.

La mancata timbratura
Il licenziamento per la mancata timbratura non discende come una conseguenza automatica della constatazione di tale mancanza, ma richiede un apprezzamento ed una valutazione da parte dell’ente ed una ponderazione della sanzione da irrogare. È questo il principio affermato dalla sentenza della Sez. Lavoro della Corte di Cassazione n. 4800/2023.
Leggiamo in primo luogo che “il licenziamento disciplinare per falsa attestazione della presenza sul luogo di lavoro, concretizzatasi non già mediante materiale alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza, bensì con altre modalità fraudolente e cioè la mancata timbratura dell'uscita dall'ufficio, non autorizzata. Questa Corte ha affermato che la condotta di rilievo disciplinare se, da un lato, non richiede un'attività materiale di alterazione o manomissione del sistema di rilevamento delle presenze in servizio, dall'altro deve essere oggettivamente idonea ad indurre in errore il datore di lavoro, sicché anche l'allontanamento dall'ufficio, non accompagnato dalla necessaria timbratura, integra una modalità fraudolenta, diretta a rappresentare una situazione apparente diversa da quella reale”.
Leggiamo inoltre che “è falsa attestazione (prima e dopo la riforma) non solo la alterazione/manomissione del sistema automatico di rilevazione delle presenze, ma anche il non registrare le uscite interruttive del servizio. Nell'eventuale contrasto tra legge e contrattazione collettiva prevale - in quanto imperativa - la disciplina legale, anche se meno favorevole al lavoratore. A fronte di una fattispecie legale, si pone, quindi, il problema di verificare i principi che il giudice deve applicare nel valutare la legittimità della sanzione irrogata dall'Amministrazione, una volta accertato che il lavoratore abbia commesso una delle mancanze previste dalla norma, e pertanto se il licenziamento sia una conseguenza automatica e necessaria, ovvero se l'amministrazione conservi il potere-dovere di valutare l'effettiva portata dell'illecito tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto e, quindi, di graduare la sanzione da irrogare, potendo ricorrere a quella espulsiva solamente nell'ipotesi in cui il fatto presenti i caratteri propri del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa di licenziamento…Sul punto si è affermato che la norma cristallizza, dal punto di vista oggettivo, la gravità della sanzione prevedendo ipotesi specifiche di condotte del lavoratore, mentre consente la verifica, caso per caso, della sussistenza dell'elemento intenzionale o colposo, ossia la valutazione se ricorrono elementi che assurgono a scriminante della condotta. Ferma la tipizzazione della sanzione disciplinare (licenziamento) una volta che risulti provata la condotta, permane la necessità della verifica del giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione che si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso. La disposizione normativa è stata interpretata alla luce dello sfavore manifestato dalla giurisprudenza costituzionale rispetto agli automatismi espulsivi .. l'esercizio del potere datoriale resta comunque sindacabile da parte del giudice quanto alla necessaria proporzionalità della sanzione espulsiva”.

Il licenziamento per la falsa timbratura
Il dipendente cha timbrato per conto di un collega può essere licenziato, anche se in sede penale è stato prosciolto. In questa direzione vanno le indicazioni contenute nella sentenza della Sez. Lavoro della Corte di Cassazione n. 5194/2023.
Leggiamo testualmente che è stato “più volte affermato il principio per cui, nel pubblico impiego privatizzato, il d.lgs. n. 165/2001, art. 55-ter, come modificato dal d.lgs. n. 150/2009, ha introdotto la regola generale dell'autonomia del procedimento disciplinare da quello penale, contemplandone la possibilità di sospensione, dunque facoltativa e non obbligatoria, come ipotesi eccezionale, nei casi di illeciti di maggiore gravità, qualora ricorra il requisito della particolare complessità nell'accertamento, restando la PA libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che essi forniscano, senza necessità di ulteriori acquisizioni e indagini, elementi sufficienti per la contestazione di illecito disciplinare al proprio dipendente (Cass. Sez. L - Sentenza n. 33979 del 17 novembre 2022 - Rv. 666026 - 01; Cass. Sez. L - Sentenza n. 8410 del 5 aprile 018 - Rv. 647660 - 01)”. Di conseguenza, si può stabilire che non ha una “valenza vincolante l'assoluzione” in sede penale che, nel caso specifico è “motivata con la particolare tenuità del fatto, e non per non averlo commesso, risultando quindi non smentita la materialità dei fatti medesimi. Perciò, l'ente deve dare corso ad “un'autonoma valutazione dei fatti, tanto più se lo stesso è basato “su un corredo probatorio più ampio rispetto a quello che era stato rimesso al giudice penale”.

Fonte: Maggioli.it

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