Accesso al nominativo del denunciante

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Giancarlo Favero
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Accesso al nominativo del denunciante

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Esistono tre indirizzi giurisprudenziali che si sono espressi in materia di accesso al nominativo del denunciante.
Un primo indirizzo, meno recente, è restrittivo ed ha escluso in radice la possibilità di esercitare siffatta tipologia di accesso. Secondo altro indirizzo, invece, l’ordinamento giuridico non può tollerare che il nominativo del denunciante possa rimanere anonimo e pertanto chi presenta la denuncia deve accettare anche la possibilità che il suo nominativo vena comunicato al denunciato.
Secondo, invece, un indirizzo intermedio (esaminato nella sentenza qui in commento) l’accesso al nominativo del denunciante è ammesso purché egli non possa essere esposto, per effetto dell’accesso al proprio nominativo, ad azioni discriminatorie o ad indebite pressioni.
La sentenza è del TAR Lombardia (Sez. I) del 13 marzo 2023, n. 629.

La questione esaminata
Nel caso esaminato, i ricorrenti avevano chiesto di accedere alla segnalazione, la cui esistenza era stata riferita dal Comune, sulla base della quale l’amministrazione aveva attivato un’ispezione nei confronti dei ricorrenti, ritenuta dagli stessi illegittima.
La richiesta di accesso era stata motivata sulla base di un interesse difensivo.
Sulla richiesta di accesso l’amministrazione non aveva dato alcun riscontro e pertanto si era formato il silenzio diniego.

La posizione assunta dai giudici
I giudici hanno affermato che il diniego formatosi era illegittimo, con conseguente fondatezza dell’impugnazione proposta.
Infatti, il diritto di accesso in funzione difensiva è garantito dall’art. 24, comma 7, della l. n. 241/1990, che, nel rispetto dell’art. 24 della Costituzione, prevede, con una formula di portata generale, “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”.
Vero è che la medesima norma - come successivamente modificata tra il 2001 e il 2005 (art. 22 l. n. 45/2001, art. 176, comma 1, d.lgs. n. 196/2003 e art. 16 l. n. 15/2005) - specifica con molta chiarezza come non bastino esigenze di difesa genericamente enunciate per garantire l’accesso, dovendo quest’ultimo corrispondere ad una effettiva necessità di tutela di interessi che si assumano lesi.
Nondimeno “la legittimazione all’accesso non può essere valutata facendo riferimento alla legittimazione della pretesa sostanziale sottostante, ma ha consistenza autonoma, indifferente allo scopo ultimo per cui viene esercitata, sicché, una volta accertato il collegamento tra l’interesse e il documento, ogni ulteriore indagine sull’utilità ed efficacia del documento stesso in prospettiva di tutela giurisdizionale ovvero sull’esistenza di altri strumenti di tutela eventualmente utilizzabili è del tutto ultronea”.
I giudici hanno poi sostenuto che, al di fuori di particolari ipotesi in cui il denunciante potrebbe essere esposto, in ragioni dei rapporti con il denunciato, ad azioni discriminatorie o indebite pressioni, il principio di trasparenza deve ritenersi prevalente su quello alla riservatezza e, dunque, non sussiste un diritto all’anonimato dei soggetti che abbiano assunto iniziative incidenti sulla sfera di terzi, anche perché una volta che l’esposto è pervenuto alla sfera di conoscenza della PA, l’autore dell’atto ha perso il controllo su di esso essendo entrato nella disponibilità dell’Amministrazione.
Nell’ambito di un procedimento ispettivo, o comunque di controllo, al privato è riconosciuta la titolarità di un interesse qualificato a conoscere i documenti utilizzati per l’iniziativa di vigilanza che lo riguarda, inclusi gli esposti o denunce suscettibili, per la loro valenza probatoria, di concorrere all’accertamento di fatti pregiudizievoli per il denunciato (si vedano. TAR Lazio, Roma, Sez. II-ter, 26 maggio 2020, n. 5955; TAR Toscana, Sez. I, 3 luglio 2017, n. 898; TAR. Lombardia, Brescia, Sez. I, 12 luglio 2016, n. 980; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 1° giugno 2011, n. 4989; Cons. Stato, Sez. V, 19 maggio 2009, n. 3081).
A parere dei giudici, la tutela della riservatezza non assume un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato di colui che rende una dichiarazione che comunque va ad incidere nella sfera giuridica di terzi.
Il diritto di accesso non soffre, infatti, limitazioni se non quelle espressamente previste con legge o, comunque, in base a legge e non è, in particolare, soggetto ad applicazioni interpretative, manipolative o, comunque, riduttive ad opera dell’Autorità atteso che ogni Amministrazione è tenuta a dar seguito all’istanza del privato (ove rispettosa dei crismi normativi quanto a forma, oggetto, interesse sostanziale sotteso), mediante l’esibizione o la consegna di copia di quella documentazione precisamente richiesta, salvo che non ricorrano le tassative circostanze legislativamente previste per differirne ovvero negarne l’accesso.

Fonte: Maggioli
Nel caso di specie il diniego non fronteggiava situazioni opponibili alla pretesa ostensiva, che del resto risultava adeguatamente motivata in relazione all’interesse difensivo ad essa sotteso.
Per le ragioni esposte, i giudici hanno accolto l’impugnazione.

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