L'intelligenza artificiale a scuola? «Opportunità enormi», ma serve formare i docenti

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Giancarlo Favero
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L'intelligenza artificiale a scuola? «Opportunità enormi», ma serve formare i docenti

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Con la diffusione di modelli linguistici come ChatGpt e Bard di Google inizia il conto alla rovescia. Unesco: serve formare gli insegnanti

L’intelligenza artificiale entrerà a scuola? Con la rapida diffusione delle AI generative, capaci di creare contenuti «originali» con un linguaggio naturale, la domanda non è «se» ma «quando». E soprattutto «come». Se lo è chiesta Unesco, l’agenzia Onu per l’educazione, che la scorsa settimana ha pubblicato una «Guida all’AI generativa» dove si sostiene l’inevitabilità di un’introduzione in ambito formativo — «opportunità enorme» secondo il direttore Audrey Azoulay —, ma anche che questi software pervasivi di ogni ambito (già oggi, ancora di più domani) devono avere linee d’utilizzo ben precise. In termini di leggi nazionali e per quanto riguarda un’adeguata formazione degli insegnanti. Altrimenti i rischi possono essere superiori alle opportunità: utilizzo senza diritti di contenuti, aumento di fake news, riduzione della diversità di opinioni, allargamento del digital divide, privacy dei minori. Uno dei motivi per cui Unesco pone i 13 anni come limite per proporre «software intelligenti».

L’AI di fatto è già nelle classi: per creare lezioni da una parte, per farsi fare i compiti (si dice) dall’altra. Google prevede di integrare entro la fine dell’anno le funzionalità di Bard nella piattaforma Workspace for Education, adottata da più del 70% delle scuole italiane. La questione dunque è molto concreta. «Un primo approccio dovrebbe essere legato allo studiare in classe come funzionano queste AI: andare a scoprire cosa queste scatole nere contengono, perché danno certi risultati», spiega Emanuela Girardi, consulente Ue e fondatrice di Pop AI. «La scuola è l’unica agenzia educativa in grado di diffondere un’informazione corretta su come usare una tecnologia destinata a permeare ogni aspetto del nostro quotidiano».

L’Unesco nella sua guida ha sposato la strategia dell’Unione europea nel recente AI Act — ecosistema normativo unico al mondo —, ossia che ogni sviluppo dell’intelligenza artificiale deve considerare l’essere umano come decisore finale. Il concetto di «human in the loop» che — sul versante scolastico — vede l’insegnante ancora più come punto di riferimento su una didattica integrata. Motivo per cui l’agenzia Onu stessa sottolinea la necessità di un sempre maggior numero di docenti, e che si tratti di professionisti formati per affrontare i nuovi strumenti. Un tema di competenze sottolineato da Google stessa al ministero dell’Istruzione del Merito, in occasione dell’incontro sul nuovo Piano Nazionale Scuola Digitale organizzato da CampBus del Corriere.

I vantaggi possono essere dirimenti. Da un lato l’apprendimento adattivo, percorsi personalizzati — tramite il software — sul singolo studente, di particolare interesse sia nel caso dei cosiddetti «bisogni educativi speciali», sia per far emergere i singoli talenti. Dall’altro l’aiuto per l’insegnante nel lavoro più routinario, liberando tempo per la progettualità didattica. «Diventa però fondamentale sottolineare la dimensione sociale dell’apprendimento: se non c’è con- divisione non c’è educazione», spiega Paolo Ferri, docente di didattica e pedagogia alla Bicocca di Milano. «L’AI non deve portare allo studio solipsistico, bensì essere un bellissimo strumento per animare lavori collaborativi e di gruppo tra gli studenti».

Fonte: Corriere.it

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