La programmazione può attendere: il Piao e la scoperta dell’acqua calda

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Giancarlo Favero
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La programmazione può attendere: il Piao e la scoperta dell’acqua calda

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Riccardo Nobile è una persona geniale, super-competente e straordinaria, che ho avuto la fortuna ed il privilegio di conoscere di persona. Divoro sempre i suoi articoli per l'acutezza dell'analisi e per l'intelligente e sottile ironia che li rende godibilissimi.

Vi propongo di seguito un suo recente articolo e... buona lettura!

Giancarlo Favero

La programmazione può attendere: il Piao e la scoperta dell’acqua calda
R. Nobile (Fonte: Maggioli Editore)


Ce ne siamo già occupati in un nostro precedente articolo sulle pagine di questa Gazzetta: il Piao ovvero il piano integrato di attività e organizzazione là chiosato in questi termini “che dire poi di P.I.A.O.? Il quale rimanda all’ennesimo strumento di programmazione gestionale del quale, detto con estrema franchezza, non si avvertiva né la necessità, né l’esigenza? Poco o nulla, salvo che fa rima con miao. Strumento, questo, che deve essere raccordato quanto meno con il D.U.P., con il P.E.G., col piano triennale del fabbisogno del personale, per il quale non pare esista un acronimo ex lege, col piano della formazione e col piano delle azioni positive e forse con altri piani [tutti privi di acronimi, peraltro mai tentati]”.
Del Piao tratta l’art. 6 del d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito nella legge 6 agosto 2021, n. 113, che ne definisce lo scopo “assicurare la qualità e la trasparenza dell'attività amministrativa e migliorare la qualità dei servizi ai cittadini e alle imprese e procedere alla costante e progressiva semplificazione e reingegnerizzazione dei processi anche in materia di diritto di accesso”. Non altrimenti per l’identificazione dei soggetti: “le pubbliche amministrazioni [….] con piú di cinquanta dipendenti, entro il 31 gennaio di ogni anno” e per gli accostamenti normativi “[le] vigenti discipline di settore e, in particolare, [il] decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e [la] legge 6 novembre 2012, n. 190”. Per essere uno strumento di sussunzione non vi sarebbe certo altro da dire. Ma tant’è, dire altro qui si impone.
Guardando ai suoi contenuti, il Piao allude con tutta evidenza a una pluralità di strumenti già in uso nelle pubbliche amministrazioni e negli Enti locali in particolare.
Lo fa al piano della performance, oggi confluito di peso nel piano esecutivo di gestione; al documento unico di programmazione, che innerva il bilancio di previsione con temporalità triennale; al piano triennale del fabbisogno del personale, che è parte del bilancio di previsione, oggi funestato dalla tematica della cosiddetta “capacità assunzionale” e dall’uso orrendo della locuzione “capitale umano”, non certo migliorabile con l’uso di “risorsa”, perché entrambe obnubilano il sostrato della persona e la riducono a un costo o poco piú; al piano triennale di prevenzione della corruzione e della trasparenza, il primo de definire meglio come “piano della gestione professionale del rischio da corruzione”; al piano delle azioni positive, et coeteris paribus.
Un lato positivo il Piao l’ha, ma solo in apparenza. Il riferimento è al “l'elenco delle procedure da semplificare e reingegnerizzare ogni anno, anche mediante il ricorso alla tecnologia e sulla base della consultazione degli utenti, nonche' la pianificazione delle attivita' inclusa la graduale misurazione dei tempi effettivi di completamento delle procedure effettuata attraverso strumenti automatizzati”. Nonostante gli entusiasmi prima facie occorre essere prudenti, perché qui si è in presenza di un vero e proprio misunderstanding: oggetto di semplificazione e di assoggettamento alla business process reengineering non sono mai le procedure, ma i processi. La differenza fra i due è particolarmente evidente e nota in letteratura: mentre le prime definiscono modus operandi interni all’organizzazione, i secondi definiscono i termini che vi sono fra input, output e outcome, ossia fra attivazione, esito e impatto di un sequenza discreta di eventi collegati fra di loro secondo nesso di mezzo a scopo [o fine]. La differenza non è di poco conto e occorre prenderne atti per evitare svarioni.
Tutto l’impianto del Piao. è orlato di luce circumfusa: il riferimento alla strategicità dello strumento, del suo scopo e dei suoi contenuti. Tutto ciò – si badi bene – cozza con principio di realtà, che fa dell’ambiente e dell’ordinamento giuridico un’entità liquida per dire gassosa. Di qui la conseguenza: come sia possibile costruire strategie [si ricordi l’etimo di stratega, ovvero “στρατός” ed “ἀγός”, e quindi “esercito” e “guida” o “condottiero”] in un ambiente che non solo non è liquido, ma gassoso è come menar colpi in aria: effetto 0, impatto nullo nella sostanza, parole al vento. E qui ci piace solo ricordare che lo stratega non va in giro per i campi e non solca i mari a caso, ma lo fa con scopi avvertiti, precisi e soprattutto concreti perché fattibili. Insomma condurre eserciti non significa affatto fare scampagnate [Sun Tzu docet].
È di tutta evidenza che la previsione Piao determina un problema di coordinamento con altri strumenti di programmazione gestionale. Se ne occupa l’art. 6, comma 5 della fonte legale di regolazione: “entro centoventi giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, con uno o piu' decreti del Presidente della Repubblica, adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, previa intesa in sede di Conferenza Unificata, ai sensi dell'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono individuati e abrogati gli adempimenti relativi ai piani assorbiti da quello di cui al presente articolo”.
Tanto premesso, da qualche giorno è venuto alla luce l’ovvio: il 9 febbraio 2022, la Conferenza Unificata delle Regioni e delle Autonomie locali ha detto nella sostanza che chi adotta il Piao può non adottare gli atti-addendo che lo compongono. Per la verità, il dictum della Conferenza è meno ambizioso perché riguarda solo il Piano triennale di prevenzione della corruzione e della trasparenza, che tutti continuano a denominare con questa locuzione, che però è locuzione vuota perché un documento in sé e per sé non previene proprio un bel niente. Noi abbiamo proposto una denominazione piú confacente, che però non viene recepita: “Piano triennale per la trasparenza amministrativa e per la gestione professionale del rischio da corruzione”.
Intanto, mentre il legislatore si dibatte nella rete dell’autonomia del Piao rispetto agli addendi che lo compongono e della necessità del tutto conseguenziale di attuare forme di coordinamento, il Comune di Pavia lo ha approvato con deliberazione della giunta comunale 30 dicembre 2021, n. 506, desumendone i contenuti dal dato legislativo, che è poi quello che conta davvero.
Come volevasi dimostrare, il Piao è uno strumento di sussunzione di una pluralità di pregressi strumenti entro uno strumento unitario, nobilitato con belle parole, ma dal contenuto innovativo pari a zero. Esso non farà affatto variare la qualità dell’azione amministrativa – categoria della qualità – ma aumenterà lo spessore dell’unico documento di programmazione gestionale dell’attività della pubblica amministrazione – categoria della quantità.
Agire in questo modo è un po’ come non saper distinguere un cervello grande – categoria della qualità – da un cervello gonfio – categoria della quantità e quindi porsi al cospetto di una vera e propria eterogenesi dei fini, facendo ribollire il sangue (sic!) ad Aristotele nella tomba.
Qui ci fermiamo: continuare sarebbe davvero ingeneroso.

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